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      Ma sarebbe stato compenso per tutt'altri che per me. Io conosceva quella testolina vulcanica; e sapeva che, sfogato quel suo impeto di pentimento e di tenerezza, sarebbe tornata per Dio sa quanto tempo all'indifferenza di prima. Alcuni versi di Dante mi stavano fitti in capo come tanti coltelli avvelenati:
     
      ... indi s'apprendequanto in femmina il foco d'amor dura
      se l'occhio o il tatto spesso nol raccende.
     
      Quel piccolo Dantino io l'avea pescato nel mare magnum di libracci di zibaldoni e di registri donde la Clara anni prima avea raccolto la sua piccola biblioteca. E a lei quel libricciuolo roso e tarlato, pieno di versi misteriosi, di abbreviature piú misteriose ancora, e di immagini di dannati e di diavoleria, non avea messo nessunissima voglia. Io invece, che l'avea sentito lodare e citare a Portogruaro ed a Padova piú o meno a sproposito, mi parve trovare un gran tesoro; e cominciai ad aguzzarvi entro i denti, e per la prima volta giunsi fino al canto di Francesca che il diletto era minore d'assai della fatica. Ma in quel punto cominciai ad innamorarmene. Piantai i piedi al muro, lo lessi fino alla fine; lo rilessi godendo di ciò che capiva allora e prima mi era parso non intelligibile. Insomma finii con venerare in Dante una specie di nume domestico; e giurava tanto in suo nome, che perfino quei due versi citati poco fa mi sembravano articoli del credo. Notate che allora non s'impazziva ancora pel Trecento; e che né il Monti aveva scritto la Bassvilliana, né le Visioni del Varano piacevano se non agli eruditi.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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