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      Quell'inverno fu il piú lungo e il piú tranquillo che passassi in mia vita. Le cure del mio uffizio mi tenevano occupato assiduamente. Fuori di quelle il pensiero della Pisana mi martellava sempre; ma la sua lontananza se aggiungeva melanconia toglieva anche acerbità al mio cordoglio. Sempre poi trovava qualche ristoro nell'idea di aver fatto il mio dovere. Giulio Del Ponte mi scrisse un paio di volte; lettere balzane e sibilline, vere lettere d'un innamorato ad un amico. Dalle quali comprendeva benissimo ch'egli non era felice pienamente; anzi che quella sua mezza felicità dell'ultimo anno s'era venuta a Venezia assottigliando di molto, sia pel bizzarro umore della Pisana, sia pel crescere dei desiderii. Quelle lettere pertanto mi angustiavano per lui, e per me quasi mi rallegravano. Da una parte capiva che se fossi stato a Venezia anch'io, non ci avrei forse goduto maggior felicità che a Fratta, e dall'altra, credete voi che le contentezze d'un rivale, per quanto degno ed amico, ci diano in fondo un gusto proprio sincero? - Non vedendo i patimenti di Giulio cosí davvicino, io era piú disposto a perdonarli a chi glieli infliggeva; non voglio darmi per un santo; la cosa era proprio tal quale ve la confesso. Del resto nella nostra solitudine nulla s'era cambiato. Il Contino sempre nella sua stanza; la Contessa che chiedeva denari con ogni corriere e la vecchia nonna sempre confitta nel suo letto e affidata alla sorveglianza della signora Veronica e della Faustina. Intorno al camino erano rimasti il Capitano e monsignor Orlando che litigavano ogni sera per accomodare il foco.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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