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      Là dentro, perché la luna non potea penetrare, non mi caddero sott'occhio i segni della tregenda, ma ne fiutava passando il puzzo stomachevole. Inciampando nelle imposte scassinate, nelle mobilie fracassate, salii mezzo carpone le scale, nella sala fui quasi per ismarrirmi tanta era la confusione delle cose che la ingombravano; lo spavento mi rischiarava, giunsi alla camera della vecchia e mi vi precipitai entro in un buio terribile gridando da forsennato. Mi rispose dalla profonda oscurità un suono spaventevole come d'un respiro affannato insieme e minaccioso: il bramito della fiera, il gemito di un fanciullo armonizzavano in quel rantolo cupo e continuo.
      - Signora, signora! - sclamai coi capelli irti sul capo. - Son io! Sono Carlino! Risponda!
      Allora udii il romore d'un corpo che a stento si sollevava, e gli occhi mi si sbarravano fuori delle orbite per pur discernere qualche cosa in quel mistero di tenebre. Avanzarmi per toccare, retrocedere in cerca di lume erano partiti che non mi passavano neppur pel capo tanto la terribilità di quell'incertezza mi rendeva attonito ed inerte.
      - Ascolta; - cominciò allora una voce la quale a stento io riconobbi per quella della Contessa vecchia - ascolta, Carlino: giacché non ho prete voglio confessarmi a te. Sappi... dunque... sappi che la mia volontà non ha mai consentito a male alcuno... che ho fatto tutto, tutto il bene che ho potuto... che ho amato i miei figliuoli, le mie nipoti, i miei parenti... che ho beneficato il prossimo... che ho sperato in Dio.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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