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      Dai dati raccolti avea potuto argomentare che i colpevoli appartenessero all'ugual battaglione di bersaglieri che scortava il convoglio dei grani partito quel giorno stesso da Portogruaro: perciò non disperava che verrebbe fatto di rintracciarli e di punirli ad esemplare castigo. La virtù antica del giovine liberatore d'Italia era caparra, secondo me, di pronta giustizia.
      Ad Udine trovai la solita confusione. Gli ospiti che comandavano, i padroni che ubbidivano. Le autorità veneziane senza forza senza dignità senza consiglio; il popolo e i signori del paese spartiti in diverse opinioni le une piú strane e fallaci delle altre. Ma moltissimi che giorni prima aveano gridato evviva agli usseri d'Ungheria e ai dragoni di Boemia, plaudivano allora ai sanculotti di Parigi. Questo era il frutto della nullaggine politica di tanti secoli: non si credeva piú di essere al mondo che per guardare; spettatori e non attori. Gli attori si fanno pagare, e chi sta in poltrona è giusto che compensi quelli che si movono per lui...
      Il generale in capite Napoleone Buonaparte (cosí lo chiamavano allora) dimorava in casa Florio. Chiesi di abboccarmi con essolui affermando di aver a fare gravissime comunicazioni sopra cose avvenute nella provincia, e siccome egli mestava in fin d'allora nel torbido coi malcontenti veneziani, cosí mi venne concessa un'udienza. Questo perché non lo seppi che in appresso.
      Il Generale era nelle mani del suo cameriere che gli radeva la barba; allora non disdegnava di farsi vedere uomo, anzi ostentava una certa semplicità catoniana, cosicché al primo aspetto rimasi confortato d'assai.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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