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      Di questi tempi ne furono altre volte nella storia dell'umanità. Noi bipedi tentenniamo fra l'eroe ed il carnefice, fra l'angelo e Belzebù. Il cane è sempre lo stesso; non cambia mai come la stella polare. Sempre amoroso paziente e devoto fino alla morte. Ne vorreste di piú, voi che non avreste cuore di distruggere neppure una tribù di cannibali?...
      Intanto io deggio confessare che, quanto a me, la dimora di Fratta non mi pareva piú né cosí tranquilla né cosí degna come un mese prima. I Francesi mi frullavano pel capo; sognava di diventare qualche coso d'importanza; e questa mi sembrava la miglior via per racquistar l'amore della Pisana. Pensava sempre a Venezia, alla caduta di San Marco, al nuovo ordinamento che ne sarebbe sorto, alla libertà, all'uguaglianza dei popoli. Quel tal general Bonaparte di poco era piú attempato di me. Perché non poteva anch'io mutarmi di sbalzo in un vincitore di battaglie, in un salvatore di popoli? L'ambizione mi adescava a braccetto dell'amore: e non sentiva piú quel pietoso rispetto per la dolorosa passione di Giulio Del Ponte. Trascurava le faccende di cancelleria, e il piú del mio tempo lo perdeva a dottrineggiar di politica con Donato, o a lottare di scherma o al tiro al bersaglio con Bruto Provedoni. Bruto era il piú infervorato dei giovani fratelli per la causa della libertà e spesso la Bradamante e l'Aquilina ce ne davano la baia. Esse aveano veduto i Francesi senza concepirne per verità la favorevole opinione che ne avevamo concepita noi, e noi dal canto nostro andavamo in collera quando esse, per divertirci da questo incantesimo, ci tornavano a mente alcune delle nefandità commesse da quei propagatori dell'incivilimento.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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