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      Quell'allontanarmi dalla Pisana, Dio sa per quanto tempo, senza vederla, senza parlarle, senza aiutarla del mio consiglio contro i pericoli che la circondavano, mi dava uno sgomento cosí grande, che piuttosto avrei arrischiato il collo per rimanere. E questi rischi che io correva infatti, rimanendo anche dopo lo sloggio dei Francesi, servivano a puntellarmi contro la coscienza che di tanto in tanto mi faceva memore di coloro che m'attendevano a Milano. Peraltro cominciava nell'animo qualche avvisaglia d'un prossimo conflitto. Le parole di mio padre m'intronavano le orecchie, vedeva lontano lontano quell'occhiata severa e fulminante di Lucilio... Oimè! credo che soltanto il timore di questa mi facesse correre pel baule; ma nel mentre appunto ch'io lo spolverava, ed aveva acceso un lume per vedere in un camerone buio e profondo, ecco scrollarsi una gran tirata di campanello.
      Chi può essere?
      pensai.
      E i buli degli Inquisitori, e le guardie di sicurezza francesi, e gli scorridori tedeschi mi si ingarbugliarono dinanzi la fantasia. Volli piuttosto scender la scala che tirare la corda, e per le fessure dell'uscio diedi uno strepitoso: - Chi va là?
      Mi rispose una voce tremante di donna:
      - Son io; apri, Carlino!
      Ma perché ella fosse tremante non la conobbi meno, e mi precipitai ad aprire col petto in angoscia cosí profonda che appena bastava a frenarmi. La Pisana vestita a nero, coi suoi begli occhi rossi di sdegno e di lagrime, coi capelli disciolti e il solo zendado sul capo mi si gettò fra le braccia gridando che la salvassi.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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