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      Io le chiesi allora perché non ricorresse piuttosto alla generosità dei Frumier; ma la mi rispose che anche i Frumier si trovavano in male acque, e che se qualche sacrifizio lo avrebbero potuto fare per salvarle dall'inedia, non intendevano poi rovinarsi affatto per pascere il vizio insaziabile della Contessa. Io allora mi maravigliava che questa passione del gioco fosse in lei andata tanto innanzi.
      - Oh non me ne maraviglio io! - mi rispose la Pisana. - Ella è sempre tanto sicura di vincere, che le parrebbe di far un torto a non giocare; e quello poi che è piú bello, ella pretende di averci sempre guadagnato e che fummo noi, io e mio fratello, a consumarle mano a mano tutti quegli immensi guadagni! Figurati! Per me non ebbi mai indosso che un vestitello di tela, e ho sempre lasciato nelle sue mani i frutti degli ottomila ducati. Mio fratello poi mangia e veste come un frate e per quattro soldi il giorno io torrei di mantenerlo. Ma la è tanto persuasa delle sue ragioni che non giova parlarne, ed io la compatisco, poveretta, perché l'era avvezza a mangiare la pappa fatta, e non tenendo conto di ciò che si riscuote e di ciò che si spende, è impossibile saperne una di schietta. Del resto la sua passione non è un caso strano, e tutte le dame di Venezia ne sono adesso invasate, tantoché le migliori casate si rovinano alle tavole di gioco. Non ci capisco nulla!... tutte si rovinano e nessuna si ristora!
      - Gli è - soggiunsi io - per quell'antico proverbio, che farina del diavolo non dà buon pane.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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