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      L'Aglaura mi domandò allora ove contassi rivolgermi quando fossero terminati questi miei negozi, ed io risposi balbettando che probabilmente a Milano. La giovinetta chinò gli occhi rabbrividendo, e suo fratello le mandò di traverso un'occhiata fulminante. Io avea ben altro pel capo che di badare al significato di questa pantomima, e presi congedo assicurandoli che ci saremmo veduti prima della partenza. Tornai indi in istrada, ma aveva piú paura di prima di esser veduto; anzi ci aveva vergogna per giunta alla paura. Mi importava moltissimo di non esser osservato, perché la perfetta libertà da ogni molestia nella quale eravamo rimasti fin'allora io e la Pisana mi persuadeva che i suoi parenti ignorassero la mia presenza in Venezia. Se fosse stato altrimenti, oh non era facile l'immaginarsi che ella si fosse rifuggita presso di me? Non mi figurava allora che la scena della Pisana col tenente Minato avesse fatto gran chiasso e che soltanto per timore di compromettersi il Navagero e la Contessa non ne chiedessero conto. Allo svoltar d'una calle mi trovai faccia a faccia con Agostino Frumier piú fresco e rubicondo del solito. Ambidue per scambievole consenso finsimo di non ci riconoscere: ma egli si maravigliò di me piú ch'io non mi maravigliassi di lui, e la vergogna fu maggiore dal mio canto.
      Finalmente giunsi al convento che le pietre mi scottavano sotto i piedi e mi pentiva ad ogni passo di non aver aspettato la notte per quella passeggiata. Ben mi prefiggeva fra me di aprir l'animo mio alla Pisana alla prima occasione e di dimostrarle come la felicità di cui ella m'inebbriava fosse tutta a carico dell'onor mio, e come il rispetto alla patria, la fede agli amici, l'osservanza dei giuramenti mi stringessero a partire.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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