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      In questi movimenti il mio corpo non si prestava che colla sciocca ubbidienza d'un automa, e quanto all'anima io potea credere d'averla lasciata nel vino di Cipro. Spiro m'accompagnò alla Riva del Carbone donde partiva allora la corriera di Padova; mi promise che le notizie di mio padre mi sarebbero puntualmente comunicate e mi lasciò con una stretta di mano. Io stetti lí sul ponte a guardare Venezia, a contemplare mestamente le cupe acque del Canal Grande dove i palazzi degli ammiragli e dei dogi sembravano specchiarsi quasi desiderosi dell'abisso. Sentiva di dentro un laceramento come dei visceri che mi fossero strappati; indi rimasi immobile smarrito privo affatto di vita come chi si trova di fronte ad una sventura che finirà solo colla morte. Non mi accorsi della partenza della barca; eravamo già al largo sulla laguna che io vedeva ancora il Palazzo Foscari e il ponte di Rialto. Ma quando si giunse alla dogana, e ci fu data la voce di fermarsi con un accento che non era certo veneziano, allora uscii a un tratto da quelle angosce fantastiche per rientrare nella stretta d'un vero e profondo dolore! Allora tutte le sventure della mia patria mi si schierarono dinanzi mescolate alle mie, e tutte una per una mi ficcarono dentro nel cuore il loro coltello!
      Ci eravamo spiccati appena dall'approdo della dogana, quando fummo sopraggiunti da un veloce caiccio che ci gridava di aspettare. Il pilota fermò infatti e fui maravigliatissimo un minuto dopo di rivedere il giovane Apostulos sulla tolda della corriera.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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