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      ... E cosa stringeva in pugno di tutto ciò? Un rimorso! Ebbro ma non satollo, vergognoso ma non pentito, io lasciava le vie dell'amore per quelle dell'esiglio, e se gli sbirri non si fossero presi la briga di avvertirmene io sarei rimasto a profanare il funebre lutto di Venezia colla sfacciataggine de' miei piaceri. Cosí perfino il nutrimento dell'anima mi si volgeva in veleno, ed era costretto a disprezzar quello che ancora desiderava possedere piú ardentemente che mai.
      Pallido stravolto agitato, senza toccar cibo né bevanda, senza né guardar in viso né rispondere alle domande de' miei compagni di viaggio, lasciandomi sobbalzare qua e là dai gomiti poco guardinghi dei barcaiuoli, giunsi finalmente a Padova. Scesi a terra non ricordandomi quasi piú dove mi fossi, e non conoscendo quell'argine del canale ove tante volte avea passeggiato con Amilcare. Domandai pertanto d'un'osteria, e me ne fu additata una alla destra di Porta Codalunga, ove appunto pochi anni or sono fu costruito il gazometro. Mi vi avviai col mio fardello sotto il braccio, seguitato da alcuni birichini che ammiravano il mio vestimento orientale: entratovi chiesi una stanza, e qualche cosa da ristorarmi. Là mi cangiai di abito, presi un po' di cibo, non volli saperne di vino, e pagato il piccolo scotto, uscii dalla bettola dicendo a voce alta che vestito a quel modo sperava di non dar nell'occhio ai monelli della città. Infatti feci le viste di avviarmivi; ma giunto alla porta tirai oltre e la diedi giù per un viottolo che a mia memoria doveva riuscire sulla strada di Vicenza.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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