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      I Veneziani che assistevano alla festa piangevano piuttosto di commozione che di dolore, e d'altronde si stimava impossibile che la Francia, dopo aver donato la libertà a provincie serve e dapprima indifferenti, volesse negarla a chi l'avea sempre posseduta, e mostrato fino all'estremo di averla carissima. Bonaparte tornava in cima nell'affetto e nell'ammirazione di tutti; al piú si mormorava del Direttorio francese che gli tenea legate le mani, solita scusa di questi ladri e truffatori della pubblica gratitudine. Io pure mi diedi a credere che il trattato di Campoformio fosse una necessità del momento, una concessione temporanea per riprender poscia piú di quanto si era dato; e a veder daccosto le opere di quei Francesi e la civiltà dei Cisalpini, non mi sorprese piú che Amilcare mi scrivesse, affatto guarito dai suoi delirii di Bruto, e che Giulio Del Ponte e Lucilio si fossero inscritti nella nuova Legione lombarda, nocciolo di eserciti futuri.
      Io cercava dello sguardo questi miei amici nelle schiere delle milizie disposte a rassegna nel campo del Lazzaretto; e mi parve infatti discernerli benché per la distanza non mi potessi assicurare. Quello che raffigurai perfettamente fu a capo d'un drappello francese Sandro, il mio amico mugnaio, con grandi pennacchi in testa e ori e fiocchi sulle spalle ed al fianco. Mi pareva impossibile che l'avessero fregiato di tanti splendori in sí breve tempo, ma l'era proprio lui, e se fosse stato un altro, bisognava gettar via la testa, tanto ingannava la rassomiglianza.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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