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      ... Credo che avrebbe intimato la guerra ai Francesi se nulla nulla lo molestavano. Finalmente arrivò l'assenso tanto sospirato. Ai primi di marzo doveva la legione moversi alla volta di Roma a raggiungervi l'esercito franco-cisalpino per le imprese future. Non s'avea piú tempo da confidare nella fortuna. L'Aglaura mi restava sulle braccia, e dovea partire senza saper nulla della Pisana e di mio padre. Se il sentimento dell'onore, l'amore della patria e della libertà non fossero stati in me molto potenti, certo avrei fatto qualche grosso sproposito. Intanto romoreggiava fra le nuvole la gragnuola che doveva pestarmi il capo, ed io non m'accorgeva di nulla.
      Disperato del lungo silenzio della Pisana e degli Apostulos, io aveva scritto ad Agostino Frumier, pregandolo per la nostra vecchia amicizia di volermi dar contezza di persone che mi stavano tanto a cuore. Di questa lettera io non avea fatto cenno ad alcuno perché sí Lucilio che gli altri veneziani l'avevano molto col Frumier e lo consideravano come un disertore. Contuttociò la spedii poiché non sapeva cui meglio rivolgermi; e aspetta, aspetta, io aveva già perduto ogni speranza quando me ne capitò la risposta. Ma indovinate mo chi mi scriveva?... Sí, era Raimondo Venchieredo. Certo il Frumier, adombratosi di mantener corrispondenza con un esule con un proscritto, avea passato l'incarico a quell'altro: e Raimondo poi mi scriveva che tutti a Venezia si maravigliavano di sapermi ignaro della Pisana da tanto tempo, egli in primo luogo; che s'avevano ottime ragioni per crederla a Milano con mio assenso, consenso e compartecipazione dei frutti; che avea tardato a scrivermi appunto per questo che lo giudicava superfluo per la mia quiete, non essendo le mie smanie altro che astuzie per darla ad intendere alla vecchia Contessa, al conte Rinaldo ed al Navagero.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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