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      Costoro del resto se ne davano pace, e dicessi alla Pisana che in quanto a lui se l'avea pigliata con pace del pari, ma che non sarebbe mancato tempo ad una buona rivincita. Cosí finiva recisamente la lettera, onde ebbi il cervello occupato un'altra volta a fabbricar romanzi sulle allusioni degli altri. A che miravano quelle ire di Raimondo colla Pisana? E cosa mi augurava il disparimento di costei da Venezia?... Fosse proprio vero?... Dimorasse ella a Milano senza farmene motto? - Non mi sembrava possibile. - E poi con quali mezzi mettersi ad un viaggio e ad una vita dispendiosa sopra gli alberghi?... Gli è vero che aveva qualche diamante, e poteva anche aver ricorso agli Apostulos. Ma di costoro Raimondo non moveva neppur parola. Cosa ne fosse avvenuto?... Che Spiro languisse ancora in carcere?... Ma suo padre allora perché non iscriveva? - Insomma, le notizie ricevute da Venezia non aggiunsero che una spina di piú a quelle che aveva già nel cuore, e mi disponeva di malissima voglia alla partenza. Anche il Carafa non sembrava piú tanto impaziente; cioè, mi spiego, non guardava piú con tanta stizza alla mia volontà mal dissimulata di tardare. Un giorno, mi ricordo, egli mi prese da un lato a quattr'occhi e mi fece sostenere uno stranissimo interrogatorio. Chi era quella bella greca che dimorava con me; perché vivevamo insieme (non lo sapeva neppur io), se aveva altre amanti, e dove, e chi fossero. Insomma, mi pareva il confessor d'un contino appena tornato dal prim'anno di università. Io risposi sinceramente, ma con qualche imbroglio, massime in punto all'Aglaura.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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