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      La mia legione aspettava sempre il suo capitano che tardava a giungere da Firenze; ma forse non si dava fretta perché la pochezza delle forze francesi e le grandi fortificazioni interne di re Ferdinando non lasciavano lusinga per allora d'una guerra napoletana. Per poltrire in un seggiolone, com'è il destino del soldato in tempo di pace, tanto valeva un caffè di Firenze come quelli tutti di Roma. Almeno io spiegava cosí la tardanza del Carafa. Intanto continuava con Lucilio a godermi le belle antichità di Roma e a studiarmi la storia coll'aiuto dei monumenti. Era l'unico svagamento che mi restasse contro lo sconforto che mi aggravava sempre piú per le mancanti notizie di Venezia. Mia sorella e il cognato scrivevano; perfino mio padre scrissemi per mezzo loro da Costantinopoli che attendessi a sperare e a prepararmi; erano scarsi aiuti, nessuno sapeva darmi contezza della Pisana neppur per sospetto o per conghiettura. Udiva anzi che a Venezia si trattava di ventilare la sua eredità, segno che la credevano o la speravano morta; e questa faccenda nella quale ravvisai la crudele avidità della Contessa non vi so dire in qual furore mi mise. A questo s'aggiungevano i disinganni politici che cominciavano a tempestare. Le mutazioni imposte agli Statuti cisalpini da Trouvé, ambasciatore di Francia coll'aiuto delle baionette francesi, davano a divedere di qual lega fosse la libertà concessa alle repubbliche italiane. Securi contro l'Austria per la pace già stabilita, vollero stringer il freno, per aver piú pronta la direzione delle cose.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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