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      Lasciammo buona parte della nostra gente a Bisceglie; e noi, insellati quanti cavalli si potevano trovare, corsimo a briglia sciolta sulla strada. Non so cosa m'avessi quel giorno, ma mi sentia venir meno la costanza e le forze: forse era certezza che la nostra causa era perduta e che non si combatteva omai per altro che per l'onore. Ai presentimenti si vuol credere molto a rilento. Martelli piú disperato ma piú forte di me veniami riconfortando a non disanimarmi, a non ismetter nulla di quella sicurezza miracolosa che finallora ci avea servito meglio d'un esercito a serbar in fede il contado della Puglia. Rispondeva che si desse pace, che avrei combattuto fino all'estremo, ma che una stanchezza invincibile mi rammolliva di dentro mio malgrado. Circa un miglio fuori da Molfetta cominciammo a veder il fumo ed ad udir lo scoppio delle archibugiate. Si vedeva anche in mare qualche legno che cercava avvicinarsi al porto, ma le onde un po' grosse lo impedivano. Entrati in paese trovammo lo scompiglio al colmo. Turchi e Albanesi sbarcati con qualche scialuppa s'eran messi a saccheggiare a massacrare con tanta crudeltà che pareva essere tornati ai tempi di Bajazette.
      Io imprecai furiosamente alla barbarie di coloro che davano cosí bella parte d'Italia in preda a quei mostri, e mi avventai con Martelli e coi compagni a una tremenda vendetta. Quanti ne incontrammo tanti furono tagliati a pezzi dalle nostre spade, calpestati dai cavalli, e fatti a brani dalla folla disperata che ci si ingrossava alle spalle.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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