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      Le feste, i baci, le gioie, le congratulazioni furono infinite: ma in mezzo a tutto ciò essi recavano in fronte una profonda mestizia per la prossima e inevitabile rovina della Repubblica: io celava un altro benché diverso lutto nel cuore per la tragica morte di mio padre. Il primo col quale m'apersi fu Lucilio. Egli m'ascoltò piú addolorato che sorpreso, e - Pur troppo - soggiunse - dovea finire cosí! Anch'io fui partecipe di cotali errori!... anch'io piango ora tanto tempo, tanti ingegni, tante vite cosí inutilmente sprecate!... Attendi al mio presagio!... Presto un simile caso funesterà le vicinanze d'Ancona!...
      Non capii a che volesse alludere ma feci tesoro di quelle parole e mi ricordai alcun mese dopo quando Lahoz, generale cisalpino, disertore dai Francesi per la fede rotta da essi alla libertà della sua patria, si volgeva ai sollevati Romagnuoli e agli Austriaci per scrollare l'ultimo baluardo che rimanesse alla Repubblica in quella parte d'Italia, la fortezza d'Ancona. Ammazzato dai suoi fratelli stessi che militavano fedeli sotto il francese Monnier, pronunciava prima di morire grandi parole di devozione all'Italia; ma moriva in campo non italiano, fra braccia non italiane. E cosí cadeva miseramente l'anima di quella società secreta che diramandosi da Bologna per tutta Italia si proponeva di tutelare l'indipendenza fra l'antagonismo delle varie potenze che se la disputavano. Vollero appoggiarsi a questi per debellar quelli; bisognava appoggiarsi a nessuno e saper morire.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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