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      Il colonnello Giorgi mi veniva dicendo, anche allora a Milano, che mi raccomandassi a lui e che m'avrebbe fatto creare maggiore del Genio o dell'artiglieria; ma vivendo io colla Pisana, la carriera militare non mi quadrava, e mi si attagliavano meglio gli impieghi civili. Infatti a Ferrara ci accasammo molto onorevolmente. Bruto Provedoni che ci aveva accompagnato fin là diretto per Venezia e pel Friuli ci promise che avrebbe scritto amplissime informazioni sopra tutto ciò che ci premeva sapere; e noi contenti di esserci salvati con tanta fortuna da quel turbine che aveva inghiottito gente piú grande ed accorta di noi, stettimo ad aspettare con pazienza che imprevisti avvenimenti finissero di mettere la nostra vita perfettamente in regola.
      La morte di Sua Eccellenza Navagero che non doveva esser lontana mi stava molto a cuore. Poveretto! Non gli augurava male; ma dopo aver vissuto abbastanza felice oltre ad una settantina d'anni poteva bene lasciar il posto a un pochetto di felicità per noi. Senza volerlo, credo che mi moderassi anch'io secondo le opinioni piú discrete di quel secondo periodo repubblicano: quell'amore spensierato ubbriaco delirante, che correva naturalmente fra le passioni ardenti e sfrenate della rivoluzione, sconcordava alquanto colle idee legali sobrie compassate che tornavano a galla. Infine il concordato colla Santa Sede mi piegava mio malgrado a pensieri di matrimonio. La Pisana non dava alcun sentore di quello che sperasse o disegnasse fare. Tornata alla vita solita era tornata alle solite disuguaglianze d'umore, alla solita taciturnità variata da improvvisi eccessi di ciarle e di riso, al solito amore condito di rabbia di gelosie e di spensieratezza.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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