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      Ma torniamo al principio del secolo, e leggete intanto cosa mi scriveva a Ferrara Bruto Provedoni, tornato da poco tempo nel suo paesucolo con una gamba di meno, e molti affanni di piú.
     
      Carlino amatissimo!
     
      Ho volontà di scrivervi a lungo, perché molte sono le cose che vorrei dirvi e tante le dolorose impressioni che m'ebbi tornando, che mi pare non dovrei mai finire dal raccontarvele. Ma son poco avvezzo a tener la penna in mano, e spesso mi bisogna lasciar da una banda i pensieri e limitarmi a quelle cose materiali che posso alla meglio esprimere. Peraltro di voi non ho soggezione, e lascerò che l'animo parli a suo modo. Dov'egli non si esprimesse a dovere voi lo capirete egualmente, e in ogni caso mi compatirete della mia ignoranza piena di buona volontà.
      Se vedeste questi paesi, Carlino!... Non li conoscereste piú!... Dove sono andate le sagre, le riunioni, le feste che allegravano di tanto in tanto la nostra giovinezza?... come sono scomparse tante famiglie che erano il decoro del territorio, e serbavano incorrotte le antiche tradizioni dell'ospitalità, della pazienza cristiana, e della religione?... Per qual incanto s'è assopita ad un tratto quella vita di chiassi, di gare fra villaggio e villaggio, di contese e di risse per le occhiate d'una bella, per l'elezione d'un parroco, o per la preminenza d'un diritto? - In quattro anni sembra che ne sian passati cinquanta. Non ci fu carestia, e si lagnano ogni dove della miseria; non ci furono leve di soldati né pestilenze come in Piemonte ed in Francia; e le campagne sono spopolate e le case deserte dei migliori lavoratori.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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