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      Ma un altro colpo mi dovea toccare che appena giunto mi ha proprio buttato a terra. L'Aquilina fra le tante mi avea raccontato anche la morte del dottor Natalino avvenuta un paio di mesi prima. Una sera indovinereste chi mi capitò in casa?... Mia cognata, quella sciagurata della Doretta!... Aveva insieme uno scribacchiante, un mingherlino che si diceva figliuolo d'un avvocato Ormenta di Venezia, e veniva con lei a reclamare la sua dote e l'eredità del marito. Cosa ne dici eh!... Che cuori!... La dote che nessuno ci aveva mai pagata!... L'eredità d'un uomo ch'ella aveva si può dire ammazzato!... Ma siccome ell'aveva una confessione di debito scritta di pugno di Leopardo otto mesi dopo il loro matrimonio, e d'altronde si commiserava della propria posizione, e il mingherlino mi diceva sotto voce che senza il sussidio di quei danari l'onore di mia cognata avrebbe corso grave pericolo, cosí e per ritirarla se è possibile dalla mala via in cui si è messa e per rispetto al nostro nome e alla memoria di mio fratello, ho cercato a tutt'uomo i mezzi di pagarla. Ho venduto quanto restava di mio nel podere lasciato da mio padre; le ho consegnato i danari e se n'è andata con Dio; ma il giovinetto sembrava molto premuroso di liberarla dall'incommodo di portare il sacchetto. Ho poi saputo che quel peculio le serví come dote per entrare in un istituto di convertite novellamente aperto a Venezia per cura di alcuni sacerdoti oscuri di nome, ma di cuore cristiano e di onestissime intenzioni. Ella restò nel ritiro un mese, ma poi ne scappò, dicono, indemoniata; ed adesso ho grave timore che non la sia in peggiori condizioni di prima, perché già il dono della dote era irrevocabile, e d'altronde non l'era una tal somma da poterle assicurare una vita indipendente.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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