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      Il buon padre s'era fatto lui il direttore spirituale in quel ritiro di convertite del quale il dottorino Ormenta governava l'economia; e ogniqualvolta m'incontravano erano scappellate, saluti e sorrisacci che mi stomacavano perché sembravano dire: "Sei tornato dei nostri! Bravo! Ti ringraziamo!". Io aveva un bel che fare, a sgambettare a salvarmi da quei loro salamelecchi; ma la gente li vedeva, li vedeva taluno a cui io era in sospetto; le calunnie pigliavano piede, e non c'era verso ch'io potessi sbarazzarmene, come da quelle caldane paludose dove, affondati una volta, per pestar che si faccia si affonda sempre piú. Confesso che fui per darmi bell'e spacciato; poiché se io non mi disperai giammai contro nemici certi e disgrazie ben misurate, non ho al contrario potuto sopportar mai un agguato nascosto e le cupe agonie d'un misterioso trabocchetto. Era lí lí per rinserrarmi in una vita morta, in quella vegetazione che protrae di qualche anno lo sfacelo del corpo dopo aver soffocate le speranze dell'anima; non vedevo piú nulla intorno a me che valesse la pena d'un giorno misurato a singhiozzi e a sospiri: io non era necessario e buono a nulla; perché dunque pensare agli altri per sentire peggio che mai il mio crepacuore?... Cosí se io non deliberava di uccidermi, mi accasciava volontario, e mi lasciava schiacciare dal peso che mi rotolava addosso. Non aveva il furore ma la stanchezza del suicida.
      Caduti in tanto abbattimento, le carezze degli altri uomini per quanto maligne e interessate ci trovano le molte volte deboli e credenzoni.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





Ormenta