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      Oh quella ciocca di capelli, io l'aveva sempre con me! Avea preveduto in essa quasi il compendio simbolico dell'amor mio; né le previsioni m'avevano ingannato. La voluttà mista di pianto, l'avvilimento avvicendato alla beatitudine, e la servitù alla padronanza, le contraddizioni e gli estremi non avevano mancato alla promessa: s'erano avvolti confusamente nel mio destino. Quanti dolori, quante gioie, quante speranze, quanta vita da quel giorno!... E chi sa quant'altri affanni, e quanta varietà di venture m'attendevano al varco prima che tornassi a riporre il piede su quel pavimento crollante e polveroso!... Chi sa se la mano degli uomini o il furore delle intemperie non avrebbero consumato l'opera vandalica di Fulgenzio e degli altri devastatori rapaci di quell'antica dimora!... Chi sa se un futuro padrone non avrebbe rialzato quelle mura cadenti, rintonacato quelle pareti, e raspato loro di dosso quelle fattezze della vecchiaia che parlavano con tanto affetto con tanta potenza al mio cuore!! Tale il destino degli uomini, tale il destino delle cose: sotto un'apparenza di giovialità e di salute si nasconde sovente l'aridità dell'anima e la morte del cuore.
      Tornai da basso che aveva gli occhi rossi e la mente allucinata da strani fantasmi; ma le risate della Pisana e la faccia serena e rotonda di Monsignore mi snebbiarono se non altro la fronte. Io m'aspettava ad ogni momento di esser richiesto se aveva imparato la seconda parte del Confiteor. Invece il buon canonico si lamentava che le onoranze non erano piú tanto abbondanti come una volta, e che quelle birbe di coloni invece di recargli i piú bei capponi, come sarebbe stata la scrittura, non davano altro che pollastrelle e galletti sfiniti tanto che scappavano pei fessi della stia.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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