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      Dal racconto di questa vita dovete già avermi conosciuto abbastanza. Sospirai per me, piansi di disperazione per la patria, indi guardando alle sembianze tenerelle dei figliuoli mi consolai e rividi un barlume di speranza. Eravamo nati, si può dire, diciott'anni prima; ci voleva la scuola delle sventure per educarci, e la vita dei popoli non si misura da quella degli individui; se noi figliuoli s'aveva scontato la viltà dei padri, i figliuoli nostri forse avrebbero raccolto la messe fecondata dal nostro sangue e dalle lagrime. Padri e figliuoli sono un'anima sola, sono la nazione che non perisce mai. Cosí mi affidava alla rigenerazione morale, non al viceré Beauharnais, né allo czar Alessandro, né a lord Bentink, né al general Bellegarde.
      A questo modo passano rapidi gli anni come i mesi della giovinezza; ma non crediate che in effetto fossero tanto veloci come sembra a raccontarli. Piú il tempo è lungo a narrarlo e piú forse fugge rapidamente in realtà. A Cordovado i giorni erano tranquilli, sereni, dolci anche se volete, ma la soverchia brevità non era il loro difetto. Le lettere della Pisana assai rare dapprincipio diventarono mano a mano piú frequenti all'infuriare delle tempeste politiche; pareva che, immaginandosi quanto ne doveva soffrire, ella s'affrettasse a porgermi il conforto della sua parola. Mi diceva dei grandi schiamazzi che aveano fatto i Venchieredo l'Ormenta e il padre Pendola coi suoi proseliti; delle belle cariche date ai suoi cugini Cisterna, massime ad Augusto ch'era diventato di botto, credo, segretario di governo; e d'Agostino Frumier che volendo ritirarsi dagli affari ed essendo ricchissimo non avea sdegnato di domandare il quarto o il quinto di pensione che gli competeva.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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