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      Probabilmente egli si dimenticava che ero organista ammogliato e con figli; pure mi aveva veduto me e la mia famigliuola nel passare col principe Eugenio quando marciavano nel milleottocentonove verso l'Ungheria. Ma in onta ai suoi quarant'anni il bel generale si conservava alquanto libertino e smemorato.
      Gli smorti anni seguenti non furono che un melanconico cimitero. Il primo a traboccare fu il cappellano di Fratta, indi toccò allo Spaccafumo; poi a Marchetto il cavallante, sagrestano e sonatore di contrabbasso che morí colpito dal fulmine mentre scampanava durante un temporale. Gli abitanti della parrocchia lo venerano anche adesso come un martire. Durante l'anno della carestia e nel susseguente la morte fece man bassa sulla povera gente; fu un sonare a morto continuo, e cosí se n'andò ma non per colpa della carestia anche la signora Veneranda, lasciando il Capitano vedovo per la seconda volta ma con settecento lire di usufrutto, il che lo liberò dal pensiero di torsi una terza moglie. Ed anche noi in quell'anno ebbimo a stringerci non poco; perché non si trovavano piú né famiglie che pagassero il ripetitore ai loro ragazzi né pievani che racconciassero organi. Anzi le spese fatte in quell'anno furono il principio del nostro sbilancio che poi s'aggravò sempre e mi condusse ai nuovi rivolgimenti che udrete in appresso.
      Non mi ricordo precisamente quando, ma certo in quel torno il conte Rinaldo fece una gita nel Friuli: veniva per denari e siccome non ne trovò, vendette ad un imprenditore i materiali della parte piú diroccata del castello.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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