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      Intanto ella studiava tutti i mezzi per trarre qualche utile dal proprio lavoro; e sebbene sulle prime non avesse voluto stabilirsi nell'istessa casa con me, col crescer poi dell'infermità e del bisogno vi si era indotta. Vivevamo come fratelli, immemori affatto di quel tempo nel quale vincoli piú soavi ci stringevano; e se io sbadatamente lo richiamava, tosto era sollecita la Pisana o a volger la cosa in burla o a stornar il discorso.
      Pur troppo ogni nostra lusinga era susseguita, si può dire, d'un disinganno. La Pisana con prodigiosa prestezza aveva imparato l'inglese, e lo parlava abbastanza correttamente; ma le aspettate lezioni non venivano punto e per brigare ch'ella facesse non aveva trovato che i figliuoli di qualche gramo mercantuccio cui insegnare l'italiano o il francese. Cercò allora aiutarsi col lavoro dei merli nei quali le donzelle veneziane erano al tempo andato maestre; ma benché ci guadagnasse discretamente in questa industria, la fatica era tanta che non poteva durarvi a lungo. Io mi perdeva le lunghe ore a ringraziarla di quanto la faceva per me, e non credo aver sofferto mai maggior tormento di allora nell'accettare sacrifizi che costavano tanto per la conservazione d'una vita cosí inconcludente come la mia. La Pisana rideva delle mie grandi parlate di devozione e di riconoscenza, e attendeva a persuadermi che quanto a me pareva le costasse molto, non le dava infatti che pochissimo fastidio. Ma dal suono della voce dalla magrezza della mano che qualche volta le stringeva, io m'era ben accorto che i disagi e il lavoro la consumavano.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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