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      - Lucilio se n'andò stringendomi affettuosamente la mano; e l'Aquilina mi venne accanto dopo alcuni momenti dicendomi che aveva ad intrattenersi meco di cose di grandissimo rilievo. Per quanto fossi mal disposto, cercai di adattarmi a quanto ella voleva, e risposi che parlasse pure, e che io starei molto volentieri ad ascoltarla. Si trattava dei nostri figli, massime di Luciano al quale quella mezza parola di un'andata in Grecia avea racceso nel cuore un tale entusiasmo che non pareva possibile calmarlo. Ella non si era opposta in sua presenza perché né voleva mostrarsi d'un parere contrario al mio, né rintuzzare palesemente quella fiera gagliardia del giovine, ma in segreto poi mi confessava che le sembrava un consiglio precipitato e Luciano troppo tenerello ancora per esporsi senza rischio ad una vita avventurosa. Meglio era dunque ristare per poco finché fosse piú maturo, ed aspettare dal tempo ispirazioni piú sincere.
      Queste considerazioni mi parvero giustissime; le approvai dunque pienamente lodandola della sua magnanimità e prudenza; e anche a me infatti non andavano mai a sangue le deliberazioni avventate per mera fanciullaggine, che conducono sovente ad una precoce sfiducia in noi e negli altri. Cosí fra noi restammo d'accordo; ma nell'altra stanza intanto Luciano e Donato non parlavano d'altro che d'Atene, di Leonida, dello zio Spiro e dei cugini: non vedevano l'ora di schierarsi in campo anch'essi e di menar le mani contro quei Turchi manigoldi. Soltanto Donato si commiserava talvolta di dover lasciare sua madre, mentre i cugini loro l'avevano in Grecia testimone delle loro prodezze.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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