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      Cosí fu tolta a Venezia ogni ragione d'esistenza ed ogni azione nella civiltà. Continuò a vivere per consuetudine, per accidente, come diceva il doge Renier; tuttavia tre secoli di decadenza lenta onorata e quasi felice diedero un'altra e solenne prova dell'antica potenza di Venezia e delle virtù immedesimate nel suo governo e nel suo popolo da tanto tempo di glorioso esercizio. Se la Repubblica di San Marco fosse entrata a parte vigorosamente e costantemente nella vita italiana durante il Medio Evo, forse allo scadere de' suoi commerci avrebbe trovato nell'allargamento in terraferma un nuovo fomite di prosperità. Invece nelle provincie italiane ella comparve ancora piú da commerciante che da governatrice; non erano membra integranti del suo corpo, ma colonie destinate a nutrire il patriziato regnante, spoglio dei soliti mezzi di alimentare la propria ricchezza. Furono accorti politici e soldati non per assodare e dilatare oltre il Po ed il Mincio l'influenza del governo, e prepararsi un futuro italiano, sibbene per difendere le loro proprietà, come lo erano stati dapprima in Crimea e nell'Asia Minore per proteggere gli empori mercantili. Da ciò, siccome per abitudine di rispetto, o per necessità di equilibrio, o per merito delle prudenti transazioni, gli altri governi li lasciarono godere in pace quei possedimenti commerciali, cessò poco a poco ogni necessità di tutela armata, e contenti di cancellare una partita sulla pagina del dare, i Veneziani affidarono unicamente al proprio accorgimento e alla discrezione altrui la sicurezza del dominio.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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