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      Forse se al tramutarsi di mercatanti in proprietari e di marittimi in continentali, un'arida fazione o un capo fortunato dell'aristocrazia avesse cercato anche di cambiare l'indole del governo di utilitaria in politica, la fortuna di Venezia avrebbe corso qualche maggior rischio, ma racquistato insieme un argomento ed un titolo di futura grandezza, ove le fosse venuto fatto di sormontare vittoriosamente quella nuova esperienza. Si sarebbe rimediato con un nuovo congegnarsi delle forze nazionali al vecchio difetto di scarsa partecipazione al movimento italiano. Mancò a ciò l'opportunità, o la forza, o la mente. Venezia, come ebbi campo a dire in addietro, rimase una città del Medio Evo colle apparenze d'uno Stato moderno. Ma le apparenze non durano a lungo; e poiché non aveva voluto o potuto diventar nazione, le convenne per forza scadere alla condizione di semplice città. Cosí nell'economia politica come nella fisiologia medica. Bisogna deprimere e ridurre un corpo invaso da umori corrotti a quella parsimonia naturale, onde poi risorga ordinatamente alla piena salute.
      Venezia in quei primi rivolgimenti che le tolsero ogni appiglio in terraferma, chiudendole piucché mai le vie insuete del mare, rimase a dir poco in fil di morte. Quando poi tornò la pace, e il mare le fu sbloccato dinanzi, le forze erano sí misere da non poter competere con quelle degli altri porti che s'erano anzi ringagliardite durante la sua indolenza. "Rive opposte, animi contrari" dice un proverbio inglese.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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