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      Se questo primo esame di coscienza generò un frattempo di avvilimento fu indizio di senno civile e di salutare vergogna. Non insultiamo a coloro che morti solo da ieri già cominciarono a rivivere, mentre si onorano gli altri che con grandissimo scalpore non son giunti a vivere che per la calcolata tolleranza di tutti. Intanto io tornava a Venezia che quel torpore d'inerzia e di vergogna era al suo colmo. Non commercio, non ricchezza fondiaria, non arti, non scienze, non gloria, né attività di sorta alcuna: pareva morte, e certo era sospensione di vita. Dovendo immischiarmi negli affari commerciali di Spiro mio cognato, toccai con mano l'indolenza e l'infelicità di quelle funzioni sociali, da cui la storia della Repubblica rilevava le sue piú splendide pagine. Mettermi a capo d'una riscossa, e ridestare una qualche operosità in quelle forze irrugginite e stagnanti, fu mio primo pensiero. Poco si poteva tentare perché quasi nulla si aveva; ma chi ben comincia è alla metà dell'opera. Giudicai che Spiro non sarebbe stato alieno dal mio divisamento; né rifuggii dall'arrischiare nel magnanimo tentativo il credito e le residue sostanze della casa Apostulos. La guerra della Grecia l'avea spolpata del meglio, ma qualche cosa rimaneva, e la fiducia dei corrispondenti avrebbe moltiplicato il valore di quegli sparsi rimasugli. Ravvivare anzi creare lo spirito d'associazione sarebbe stato il primo passo; e mi vi incuorava lo spettacolo della potenza inglese di cui mi durava ancor fresca la maraviglia.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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