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      Donato osservava quegli stampi originalissimi, e sapeva metterli in burla con qualche scontento di sua madre; io invece me ne consolava vedendo che soltanto a ragione di lei si piegava a trovarsi quasi tutti i giorni con quelle mummie, e che non ne avrebbe mai imparato le sucide massime e la meschina ipocrisia. L'Aquilina dal canto suo stringeva ogni giorno piú le sue relazioni colla signora Clara, perché, diceva ella, non si sapeva mai dove potesse condurci qualche mia ragazzata. Sopra questa o simile parola nascevano per consueto i gran diverbi; ma io non vi badava piú che tanto, e sapendo che l'adoperava a fin di bene, lasciavala far a suo modo. Altronde le antecedenze giustificavano abbastanza questa nostra famigliarità coi Conti di Fratta; e non istava a me distoglierla da un'osservanza che era imposta anche a me stesso dalla gratitudine. Maggiore argomento di discordia ci era la condotta di Luciano, il quale anziché imitare nell'arrendevolezza e nell'operosità il fratello minore, si buttava allo scapato, non voleva sentire né ammonizioni né consigli, e quando lo si rimproverava, massime sua madre, di non volersi occupare delle cose piú utili alla vita, rispondeva che, poiché non ci era vita, non capiva in che potessero consistere quell'utile o quel disutile, e che egli vi trovava il suo conto o bene o male a dimenticarsi di tutto.
      - Bada, Luciano - lo ammoniva io - bada che dimenticando tutto sopraggiunge poi il giorno che ci ricorda di qualche cosa, e allora troppo tardi ci accorgiamo d'aver dimenticato di farci uomini.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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