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      Io intanto, già uscito dalla bottega, me ne andai a casa, e non ne udii parlare per tre giorni. La mattina del quarto venne certo Marcolini che aveva voce del miglior schermidore di Venezia a parteciparmi che ritenendosi il signor Raimondo di Venchieredo offeso profondamente dalla maniera con cui l'aveva trattato al caffè Suttil, e chiedendo di ciò una riparazione, lasciava a me, come ne aveva il diritto, la scelta delle armi: perciò scegliessi pure e mandassi i miei testimoni coi quali regolare le condizioni del duello. Io gli risposi che avendo avuto il diritto di sfidare il signor Raimondo fin dal primo momento che lo udii denigrare la fama d'una persona rispettabile e a me carissima, e non avendolo fatto solamente per alcune mie speciali opinioni sopra il duello, riteneva essere stato io il provocatore; facesse lui per la scelta delle armi, e i testimoni li avrei mandati quello stesso giorno.
      Il Marcolini mi ringraziò di sí cavalleresca compitezza e andossene pei fatti suoi. Seppi in seguito che, dopo la mia partenza dal caffè, Raimondo aveva strepitato assai, e giurato e spergiurato che mi avrebbe stracciato il cuore coi denti, e simili altre cose degne in tutto della sua nota spavalderia; ma poi il sonno lo avea ricondotto a piú miti consigli, e il giorno appresso si limitava a ripetere che tutti i suoi giuramenti egli avrebbe mantenuto e piú assai, se non avesse avuto moglie e figliuoli. Quest'ultima clausola mosse le grandi risate e ne andò per Venezia un grandissimo scalpore.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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