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      Avrei anche desiderato che l'Aquilina mi fosse compagna, ma lo impedirono i due piccoli. Cosí mi partii solo, sopra la nave d'una casa corrispondente, al principiare d'agosto del milleottocentotrenta, quando appunto la rivoluzione di Francia metteva in subbuglio o per un verso o per l'altro tutte le teste d'Europa. Giunsi a Napoli di Romania tre settimane dopo; e come diceva l'Aglaura, fu veramente un graditissimo spettacolo quello di vedere la baldanza e la sicurezza di un popolo che si avea tolto dal collo un giogo di quattro secoli, e portava impressi ancora sulla fronte la gioia e l'orgoglio del trionfo. Solamente continuava qualche malcontento per l'ingratitudine che il governo dimostrava ai vecchi capitani della guerra. Erano sí cervelli un po' caldi, piú atti a infervorarsi sul campo di battaglia che ad assottigliare disquisizioni legali; ma non bisognava dimenticare i loro immensi servigi, e punirli di sí scusabili difetti colla prigione e coll'esiglio.
      Io faceva eco ai lamenti che movevano Spiro e Teodoro di cotali ingiustizie, ma Luciano me ne rimproverava come d'una inescusabile debolezza. Ogni arte, secondo lui, doveva tendere a' suoi fini senza piegare, senza patteggiare. Come durante la guerra si avea menato dei Turchi una strage inesorabile, né si badava alle delicature e ai mezzi termini dei Fanarioti; cosí, conquistata coll'indipendenza la pace, per assicurare al popolo quella vita calma ed ordinata che sola può render utile l'acquisto della libertà ed assicurarne per sempre l'esercizio, bisognava rintuzzare ogni causa d'inquietudine, e ridurre all'obbedienza quei poteri secondari che avevano cooperato validamente al buon esito della guerra, ma che allora inceppavano con assai danno l'azione del governo.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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