Pagina (1164/1253)

   

pagina


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

      Le ricchezze s'erano accresciute notevolmente in quella lunga pace, non tanto forse quanto si voleva, ma certo cresciute erano; il senso pubblico e l'educazione aveano migliorato assai benché a rilento e quasi a ritroso delle circostanze; ma non si guardava tanto lontano e la carità patria cercava bisogni presenti da soddisfare, piaghe da sanare, desiderii da adempiere, non glorie remote da ravvivare, o vecchie eredità passive da raccogliere. Un inno manzoniano in onore della strada ferrata che si progettava allora per congiungere Milano a Venezia avrebbe trovato editori compratori e lodatori; ma un'opera voluminosa sul commercio degli antichi Veneti non stuzzicava la curiosità del pubblico, e non dava speranza ai librai di guadagnarci gran fatto. Perciò facevano tanto di cappello al signor Conte, e dopo aver pesato colla mano il suo manoscritto glielo restituivano garbatamente senza pur volerlo leggere. Indarno egli si sfiatava a persuaderli di esaminare l'opera sua per conoscerne il valore e l'estensione; essi rispondevano che la reputavano un capolavoro, ma che i lettori non erano preparati a cose tanto sublimi e profonde, e che se lo scrittore secondava le proprie idee, agli stampatori invece si conveniva di soddisfare ai desideri della gente. Il conte Rinaldo aveva la modestia del vero merito, ma insieme anche la dignità naturale di chi è sinceramente modesto.
      Perciò non s'abbassava, come dice il volgo, a leccar le scarpe di nessuno, e tornava nella sua solitudine a vendicarsi nobilmente e a consolarsi dei sofferti rifiuti col limare correggere ed emendare il proprio lavoro.


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

   

Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





Milano Venezia Veneti Conte Rinaldo