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      Chiudo queste Confessioni nel nome della Pisana come le ho cominciate; e ringrazio fin d'ora i lettori della loro pazienza.
     
     
      Tonale, giugno 1848
     
      La superbia fu giudicata il capitale dei peccati capitali. Chi diede questa sentenza conobbe per certo l'umana natura. Ma vi sono castighi che sorpassano in terribilità qualunque gravezza di colpa. Quello che soffersi io non ha paragone in qualunque genere di pena: i tiranni della Sicilia non ne seppero inventare di piú atroci. È vero; fui orgoglioso. Disprezzai chi non era forse né meno veggente né meno coraggioso di me; m'aggirai fra essi colla testa ritta e colla frusta in mano come fra uno sciame di conigli; diedi ragione se non al diritto certo alla forza dei padroni, e risi di vederli calpestati perché non li credeva possibili ad una riscossa. Povero vanerello, che pretendeva conoscere il vigore dei muscoli dalla morbidezza della pelle, e giudicava di cavalli nella stalla! Sorse il giorno che il derisore fu lo scherno dei derisi; e dovette chinar il capo sotto la punizione piú tremenda che possa affliggere il cuore d'un uomo, sotto un oltraggio immeritato, ma giusto.
      È assurdo, lo veggo; ma lo toccai con mano, e bisogna rassegnarsi. Felice me che non m'ingroppai nei legami insolubili dell'orgoglio, ma rispettai la giustizia nella stessa ingiustizia, preferendo di nutrirmi col pane del pentimento piuttostoché col sangue dei fratelli!... Traditore e spia! Queste orrende parole mi rintronano ancora le orecchie!... Oh era allora il momento di sollevare ai numi il voto infernale di Nerone.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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