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      La notte era profonda; e si vedevano da lontano i fuochi del campo d'Oudinot. Tutto ad un tratto io sentii giù nel fosso uno scalpitar di pedate; pareva che le scolte sonnecchiassero, giacché non diedero alcun segno; io gridai
      all'armi!", e prima che mi venisse intorno una dozzina di legionari, già una colonna di cacciatori francesi guadagnava per la breccia il sommo del bastione. Mi ricordai di Manlio e solo colla mia baionetta ributtai i primi; l'altura della posizione mi favoriva e fors'anco il comando che avevano gli assalitori di non sparare se non si fossero prima stabiliti sul bastione.
      Infatti essi non potevano offendermi di punta dal sotto in su, e indietreggiando misero qualche scompiglio nella prima fila che disordinò del pari la seconda. Credevano forse che un maggior numero di difensori guernisse il muro e vi fu un istante ch'io credetti d'aver bastato da solo a sgominare l'assalto. Ma in quella l'officiale che comandava la fazione, come spazientito del timore de' suoi, balzò innanzi e giunse sul bastione gridando e incoraggiandoli colla spada sguainata; gli altri ripresero animo e lo seguirono tosto.
      Io non sapeva che fare; tornai a urlare:
      all'armi! all'armi!", con quanto fiato aveva in corpo, e mentre alcuni legionari accorsi al grido si opponevano all'irruzione della colonna, io mi slanciai sull'officiale e prima che avesse tempo di adoperare la sciabola lo disarmai; egli aveva alla cintola una pistola, me ne scaricò un colpo a bruciapelo che non mi portò via fortunatamente altro che la falange d'un dito.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





Oudinot Manlio