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      Penserò a mia madre e a mia sorella come a due angeli, che mi raddoppieranno quandochessia la beatitudine del cielo.
     
      In mare, settembre 1849
     
      La fortuna mi diede compagna d'esiglio una famiglia romana; un padre ancora giovine, di quarant'anni al piú, che sostenne cariche importantissime nelle provincie, il dottor Ciampoli di Spoleto, e due suoi figliuoli, la Gemma, credo di diciannove anni, e il Fabietto di dodici o quattordici. Al primo vederli mi risovvenne di un'incisione veduta alcuni anni sono, rappresentante una famigliuola di contadini raccolta ad aspettare e a pregare sotto una quercia, mentre infuria un gran temporale; tanto sono alieni dalla rabbia consueta dei profughi politici. Si consolano amandosi a vicenda, e, meno Roma, la loro vita è quella d'una volta. Avessi anch'io meco i miei genitori o i miei fratelli! Mi sembrerebbe di portar via una gran parte di patria. Ma sono illeciti questi desiderii di far comuni appunto ai nostri piú cari le peggiori disgrazie. Come sopporterebbero mai due poveri vecchi una vita varia stentata angosciosa, senza nessuna certezza né di riposo né di sepolcro? Meglio cosí; e che il destino mi condanni a patir solo. D'altronde la lontananza della patria stringe i compaesani quasi con legami di famiglia; e m'accorgo già di amare il dottor Ciampoli quasi come padre, e la Gemma e il Fabietto come fratelli. Quella giovinetta è la piú soave creatura che m'abbia mai conosciuto; non romana punto; ma donna in tutto, nella grazia nella gracilità nella compassione.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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