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      Ma la cosa si contenne nei limiti delle avvisaglie fino al gennaio passato, quando essendo scoppiato un tumulto piú pericoloso intorno alla miniera dell'ovest, io dovetti accorrere in fretta colà con gran parte della guarnigione a dar un esempio. Quella fazione mi tenne lontano piú ch'io non credessi; i selvaggi combattevano con un'astuzia particolare, e soltanto dopo tre settimane giungemmo a ricacciarli di là dal fiume e a bruciar loro le barche.
      Sicuri che non ci darebbero noia per un pezzo ci rivolsimo verso Rio Ferreires, quando a mezzo cammino si trovò un corriere che ci dava molta fretta per esser la città minacciata dagli Indiani. Ad onta che i soldati fossero stanchissimi, sforzammo disperatamente le marce perché molti aveano lasciato nelle caserme le loro mogli e si viveva in grandissima ansietà. Io temeva assai del dottor Ciampoli, il quale per essere molto fiero e risoluto poteva arrischiare sé ed i suoi a qualche tristo cimento. La prima cosa che mi colpí gli occhi quando giunsimo in vista di Rio Ferreires, fu la Sopraintendenza tutta quanta in fiamme. Il furore, la rabbia ci raddoppiarono le forze e per tutte quelle cinque miglia che restavano fu una corsa sfrenata. Gli Indiani, in fatto, avevano assaltato di nottetempo le caserme, inchiodato i cannoni, e scannato per sorpresa gran parte degli uomini, facendo prigioniere le donne.
      I pochi superstiti si erano rifugiati alla residenza; ma colà appunto si era rovesciata proprio nel momento del nostro ritorno la rabbia dei selvaggi.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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