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      tu mi costringi a disamarti, e questoa peggio ti verrà. S'al ver t'apponi,
      che al ver t'apponga ho caro. Or siedi, e taci,
      e m'obbedisci; ché giovarti invanopotrìan quanti in Olimpo a tua difesa
      accorresser Celesti, allor che postele invitte mani nelle chiome io t'abbia.
      Disse; e chinò la veneranda Giuno
      i suoi grand'occhi paurosa e muta,
      e in cor premendo il suo livor s'assise.
      Di Giove in tutta la magion le frontisi contristâr de' numi, e in mezzo a loro
      gratificando alla diletta madreVulcan l'inclito fabbro a dir sì prese:
      Una malvagia intolleranda cosaquesta al certo sarà, se voi cotanto,
      de' mortali a cagion, piato movete,
      e suscitate fra gli Dei tumulto.
      De' banchetti la gioia ecco sbandita,
      se la vince il peggior. Madre, t'esorto,
      benché saggia per te; vinci di Giove,
      vinci del padre coll'ossequio l'ira,
      onde a lite non torni, e del convitone conturbi il piacer; ch'egli ne puote,
      del fulmine signore e dell'Olimpo,
      dai nostri seggi rovesciar, se il voglia;
      perocché sua possanza a tutte è sopra.
      Or tu con care parolette il molci,
      e tosto il placherai. - Surse, ciò detto,
      ed all'amata genitrice un tondogemino nappo fra le mani ei pose,
      bisbigliando all'orecchio: O madre mia,
      benché mesta a ragion, sopporta in pace,
      onde te con quest'occhi io qui non vegga,
      te, che cara mi sei, forte battuta;
      ché allor nessuna con dolor mio sommodarti aìta io potrei. Duro egli è troppo
      cozzar con Giove. Altra fiata, il sai,
      volli in tuo scampo venturarmi. Il crudoafferrommi d'un piede, e mi scagliò
      dalle soglie celesti.


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Iliade
di Homerus (Omero)
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