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      la dolorosa idea ch'Ettore un giornofra' Troiani dirà gonfio d'orgoglio:
      Io fugai Dïomede, io lo costrinsia scampar nelle navi. - Ei questo vanto
      menerà certo, e a me si fenda allorasotto i piedi la terra, e mi divori.
      E Nestore ripiglia: Ah che dicesti,
      valoroso Tidìde? E quando avvegnache un codardo, un imbelle Ettor ti chiami,
      i Troiani non già sel crederanno,
      né le troiane spose, a cui nell'atrapolve stendesti i floridi mariti.
      Disse; e addietro girò tosto i cavallitra la calca fuggendo. Ettore e i Teucri
      con urli orrendi li seguiro, e un nembopiovean su lor d'acerbi strali, ed alto
      gridar s'udiva de' Troiani il duce:
      I cavalieri argivi, o Dïomede,
      e di seggio e di tazze e di vivandete finora onorâr su gli altri a mensa;
      ma deriso or n'andrai, che un cor palesidi femminetta. Via di qua, fanciulla;
      non salirai tu, no, fin ch'io respiro,
      d'Ilio le torri, né trarrai cattivele nostre mogli nelle navi, e morto
      per la mia destra giacerai tu pria.
      Stettesi in forse a quel parlar l'eroedi dar volta ai cavalli, e d'affrontarlo.
      Ben tre volte nel core e nella mentegliene corse il desìo, tre volte Giove
      rimormorò dall'Ida, e fe' securidella vittoria con quel segno i Teucri.
      Con orribile grido Ettore alloraanimando le schiere: O Licii, o Dardani,
      o Troiani, dicea, prodi compagni,
      mostratevi valenti, e fuor mettetele generose forze. Io non m'inganno,
      Giove è propizio; di vittoria a noie d'esizio a' nemici ei diede il segno.
      Stolti! che questo alzâr debile muro,
      troppo al nostro valor frale ritegno.
      Quella lor fossa varcheran d'un salto


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Iliade
di Homerus (Omero)
pagine 483

   





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