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      i miei cavalli; e quando emerso a vistaio sarò delle navi, allor le faci
      ministrarmi qualcun si risovvegna,
      ond'io que' legni incenda, e fra le vampesbalorditi dal fumo i Greci uccida.
      Poi conforta i destrieri, e sì lor parla:
      Xanto, Podargo, Etón, Lampo divino,
      mercé del largo cibo or mi rendete,
      che dell'illustre Eezïon la figliaAndromaca vi porge, il dolce io dico
      frumento, e l'alma di Lïeo bevanda,
      ch'ella a voi mesce desïosi, a voipria che a me stesso che pur suo mi vanto
      giovine sposo. Or via, volate; andiamoalla conquista del nestòreo scudo
      di cui va il grido al cielo, e tutto il diced'auro perfetto, e d'auro anco la guiggia.
      Poi di dosso trarremo a Dïomede
      l'usbergo, esimia di Vulcan fatica.
      Se cotal preda ne riesce, io speroche ratti i Greci su le navi in questa
      notte medesma salperan dal lido.
      Del superbo parlar forte sdegnossil'augusta Giuno, e s'agitò sul trono
      sì che scosso tremonne il vasto Olimpo.
      Quindi rivolte le parole al grandedio Nettunno, sì disse: E sarà vero,
      possente Enosigèo, che degli Argivi
      a pietà non ti mova la ruina!
      Pur son essi che in Elice ed in Ege
      rècanti offerte graziose e molte.
      E perché dunque non vorrai tu lorola vittoria bramar? Certo se quanti
      siam difensori degli Achivi in cielovorrem de' Teucri rintuzzar l'orgoglio
      e al Tonante far forza, egli solettoe sconsolato sederà su l'Ida.
      Oh! che mai parli, temeraria Giuno?
      le rispose sdegnoso il re Nettunno:
      non sia, no mai, che col saturnio Giove
      a cozzar ne sospinga il nostro ardire;
      rammenta ch'egli è onnipossente, e taci.


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Iliade
di Homerus (Omero)
pagine 483

   





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