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      di Ftia porrammi su la dolce riva.
      Ivi molta lasciai propria ricchezzaqua venendo in mal punto, ivi molt'altra
      ne reco in oro, e in fulvo rame, e in tersosplendido ferro e in eleganti donne,
      tutto tesoro a me sortito. Il solopremio ne manca che mi diè l'Atride,
      e re villano mel ritolse ei poscia.
      Torna dunque all'ingrato, e gli riportatutto che dico, e a tutti in faccia, ond'anco
      negli altri Achei si svegli una giust'irae un avvisato diffidar dell'arti
      di quel franco impudente, che pur talenon ardirebbe di mirarmi in fronte.
      Digli che a parte non verrò giammainé di fatto con lui né di consiglio;
      che mi deluse; che mi fece oltraggio;
      che gli basti l'aver tanto potutosola una volta, e che mal fonda in vane
      ciance la speme d'un secondo inganno.
      Digli che senza più turbarmi corraalla ruina a cui l'incalza Giove
      che di senno il privò: digli che abborrosuoi doni, e spregio come vil mancipio
      il donator. Né s'egli e dieci e ventivolte gli addoppii, né se tutto ei m'offra
      ciò ch'or possiede, e ciò ch'un dì venirglipotrìa d'altronde, e quante entran ricchezze
      in Orcomèno e nell'egizia Tebe
      per le cento sue porte e li dugentoaurighi co' lor carri a ciascheduna;
      mi fosse ei largo di tant'oro alfinequanto di sabbia e polve si calpesta,
      né così pur si speri Agamennóne
      la mia mente inchinar prima che tuttopagato ei m'abbia dell'offesa il fio.
      Non vo' la figlia di costui. Foss'ellapari a Minerva nell'ingegno, e il vanto
      di beltà contendesse a Citerea,
      non prenderolla in mia consorte io mai.
      Serbila ad altro Acheo che al grand'Atride


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Iliade
di Homerus (Omero)
pagine 483

   





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