Pagina (208/483)

   

pagina


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

      Io de' tuoi colpiprendo il timor che mi darebbe il fuso
      di femminetta, o di fanciul lo stecco;
      ché non fa piaga degl'imbelli il dardo.
      Ma ben altro è il ferir di questa mano.
      Ogni puntura del mio telo è mortedel mio nemico, e pianto de' suoi figli
      e della sposa che le gote oltraggia;
      mentre di sangue il suol quegli arrossandoimputridisce, e intorno gli s'accoglie,
      più che di donne, d'avoltoi corona.
      Così parlava. Accorso intanto Ulisse
      di sé gli fea riparo: ed ei sedutodell'amico alle spalle il dardo acuto
      sconficcossi dal piede. Allor gli venneper tutto il corpo un dolor grave e tanto,
      che angosciato nell'alma e impazïentemontò sul cocchio, ed all'auriga impose
      di portarlo volando alle sue tende.
      Solo rimase di Laerte il figlio,
      ché la paura avea tutti sbandatigli Argivi; ond'egli addolorato e mesto
      seco nel chiuso del gran cor dicea:
      Misero, che farò? Male, se in fugami volgo per timor: peggio, se solo
      qui mi coglie il nemico ora che Giove
      gli altri Achei sgominò. Ma quai pensierimi ragiona la mente? Ignoro io forse
      che nell'armi il vil fugge, e resta il prodea ferire o a morir morte onorata?
      Mentre in cor queste cose egli discorre,
      di scutati Troiani ecco venirneuna gran torma che l'accerchia. Stolti!
      che il proprio danno si chiudean nel mezzo.
      Come stuol di molossi e di fiorentigiovani intorno ad un cinghial s'addensa
      per investirlo, ed ei da folto vepresbocca aguzzando le fulminee sanne
      tra le curve mascelle; d'ogni parteimpeto fassi, e suon di denti ascolti,
      e della belva si sostien l'assalto,
      benché tremenda irrompa e spaventosa:


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

   

Iliade
di Homerus (Omero)
pagine 483

   





Ulisse Laerte Argivi Giove Achei Troiani