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      e spargendovi sovra un leggier nembodi candida farina, una bevanda
      uscir ne fece di cotal mistura,
      che apprestata e libata, ai due guerrierila sete estinse e rinfrancò le forze.
      Diersi, ciò fatto, a ricrear parlandogli affaticati spirti; e sulla soglia
      ecco apparir Patròclo, e soffermarsiin sembianza di nume il giovinetto.
      Nel vederlo levossi il vecchio in piedidal suo lucido seggio, e l'introdusse
      presol per mano, e di seder pregollo.
      Egli all'invito resistea, dicendo:
      Di seder non m'è tempo, egregio veglio,
      né obbedirti poss'io. Tremendo, iroso
      è colui che mi manda a interrogartidel guerrier che ferito hai qui condotto.
      Or io mel so per me medesmo, e in luiravviso il duce Macaon. Ritorno
      dunque ad Achille relator di tutto.
      Sai quanto, augusto veglio, ei sia stizzosoe a colpar pronto l'innocente ancora.
      Disse, e il gerenio cavalier rispose:
      E donde avvien che de' feriti Achivi
      sente Achille pietà? Né ancor sa quantapel campo s'innalzò nube di lutto.
      Piagati altri da lungi, altri da pressonelle navi languiscono i più prodi.
      Di saetta ferito è Dïomede,
      d'asta l'inclito Ulisse e Agamennóne,
      Euripilo di strale nella coscia,
      e di strale egli pur questo che vedida me condotto. Il prode Achille intanto
      niuna si prende né pietà né curadegl'infelici Achivi. Aspetta ei forse
      che mal grado di noi la fiamma ostilearda al lido le navi, e che noi tutti
      l'un su l'altro cadiam trafitti e spenti?
      Ahi che la possa mia non è più quellach'agili un tempo mi facea le membra!
      Oh quel fior m'avess'io d'anni e di forza,
      ch'io m'ebbi allor che per rapiti armenti


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Iliade
di Homerus (Omero)
pagine 483

   





Patròclo Macaon Achille Achivi Achille Dïomede Ulisse Agamennóne Achille Achivi