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      languìan feriti di diverso colpo.
      Dell'orrendo conflitto alla sinistravide egli poscia della bella Argiva
      lo sposo rapitor che i suoi compagniconfortava alla pugna. Gli fu sopra,
      e acerbe gli tonò queste parole:
      Ahi funesto di donne ingannatore,
      che di bello non porti altro che il viso,
      Dëìfobo dov'è? dove son l'armid'Eleno, d'Asio, d'Adamante? dove
      Otrïonèo? Dal sommo ecco già tuttoil grand'Ilio precipita, e te pure
      l'ultimo danno, o sciagurato, aspetta.
      E il bel drudo a rincontro: Ettore, a tortotu mi rampogni. In altri tempi io forse
      un trascurato mi mostrai, non oggi.
      La madre un vile non mi fe'. Dal puntoche il conflitto attaccasti appo le navi,
      da quel punto qui fermo e senza posacon gli Achei mi travaglio. I valorosi
      di che tu chiedi, caddero. Due soliDëìfobo ed Elèno ambi alla mano
      feriti si partîr, sottratti a mortecerto da Giove. Or dove il cor ti dice,
      guidami: io pronto seguirotti, e quantopotran mie forze, ti farò, mi spero,
      il mio valor palese. Oltre sua possa,
      benché abbondi il voler, nessuno è forte.
      Piegâr quei detti del fratello il core,
      e di conserva entrambi ove più fervela mischia s'avvïâr. Pugnano quivi
      e Cebrïone e il buon Polidamante
      e il divin Polifète e Falce e Ortèo,
      e i tre d'Ippozïon gagliardi figliPalmi, Mori ed Ascanio, dal gleboso
      suol d'Ascania venuti il dì precesso,
      e spinti all'armi dal voler de' numi.
      Come di venti impetuosi un turbodal tuon di Giove generato piomba
      su la campagna, e con fracasso orrendosovra il mar si diffonde: immensi e spessi
      bollono i flutti di canuta spuma,


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Iliade
di Homerus (Omero)
pagine 483

   





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