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      Il muro, che de' legni e di noi stessiriparo invitto speravam, quel muro
      cadde, il nemico ne combatte intornocon ostinato ardire e senza posa:
      né, come che tu l'occhio attento volga,
      più ti sapresti da qual parte il dannodegli Achivi è maggior, tanto son essi
      alla rinfusa uccisi, e tanti i grididi che l'aria risuona. Or noi qui tosto,
      se verun più ne resta util consiglio,
      consultiamo il da farsi. Entrar nel fortedella mischia non io però v'esorto,
      ché mal combatte il battaglier ferito.
      Saggio vegliardo, replicò l'Atride,
      poiché fino alle tende hanno i nemicispinta la pugna, e più non giova il vallo
      né della fossa né dell'alto muro,
      a cui tanto sudammo, e invïolatoschermo il tenemmo delle navi e nostro,
      chiaro ne par che al prepossente Giove
      caro è il nostro perir su questa rivalungi d'Argo, infamati. Il vidi un tempo
      proteggere gli Achei; lui veggo adessoi Troiani onorar quanto gli stessi
      beati Eterni, e incatenar le nostreforze e l'ardir. Mia voce adunque udite.
      Le navi, che ne stanno in secco al primolembo del lido, si sospingan tutte
      nel vasto mare, e tutte sieno in altosull'àncora fermate insin che fitta
      giunga la notte, dal cui velo ascosivarar potremo il resto, ove pur sia
      che ne dian tregua dalla pugna i Teucri.
      Non è biasmo fuggir di notte ancorail proprio danno, ed è pur sempre il meglio
      scampar fuggendo, che restar captivo.
      Lo guatò bieco Ulisse, e gli rispose:
      Atride, e quale ti fuggì dal labbrorovinosa parola? Imperadore
      fossi oh! tu di vigliacchi, e non di noi,
      di noi che Giove dalla verde etade


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Iliade
di Homerus (Omero)
pagine 483

   





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