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      Si tepefece per lo sangue il ferro;
      e la purpurea morte e il vïolentofato le luci gli occupò per sempre.
      S'azzuffâr Lico e Penelèo: ma in fallotrasser ambo le lance. Allor più fieri
      dier mano al brando. Del chiomato elmettoLico il cono percosse: ma la spada
      si franse all'elsa. All'avversario il ferroassestò Penelèo sotto l'orecchio,
      e tutto ve l'immerse. Penzolavain giù la testa dispiccata, e sola
      tenea la pelle. Così cadde e giacque.
      Merïon velocissimo correndoAcamante raggiunse appunto in quella
      che il cocchio ei monta, e al destro omero il fere.
      Ruinò quel percosso dalla biga,
      e morte gli tirò su gli occhi il velo.
      Idomenèo la lancia nella boccad'Erimanto cacciò. La ferrea cima
      apertasi la via sotto il cerèbrorïuscì per la nuca, spezzò l'osso
      del gorgozzule, e sgangherògli i denti;
      talché di sangue s'empîr gli occhi, e sanguesoffiò dal naso e dalle fauci aperte.
      Così concio il coprì l'ombra di morte.
      E questi fûro i condottieri acheiche spensero ciascuno un inimico.
      Qual su capri ed agnelle i lupi piombanosterminatori, allor che per inospita
      balza neglette dal pastor si sbrancano;
      appena le adocchiâr, che ratti avventansialle misere imbelli e ne fan strazio:
      non altrimenti si vedeva i Dànai
      dar sopra i Teucri che del core immemoricon orribile strepito fuggivano.
      Nel folto della mischia il grande Aiace
      sempre ad Ettòr volgea l'asta e la mira.
      Ma quel mastro di guerra ricopertoil largo petto di taurino scudo
      all'acuto stridor delle saettee al sibilo dell'aste attento bada,
      ben s'accorgendo alla contraria parte


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Iliade
di Homerus (Omero)
pagine 483

   





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