Pagina (412/483)

   

pagina


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

     
      Ciò detto, altrove s'avviò, né vollealle mani venir, per lo rispetto
      di quel Nume a lui zio. Ma la sorelladi belve agitatrice aspra Dïana
      con acri motti il rampognò: Tu fuggi,
      tu che lunge saetti? e tutta cedisenza contrasto al re Nettun la palma?
      Vile! a che dunque nella man quell'arco?
      Ch'io non t'oda più mai nella paternareggia tra' numi, come pria, vantarti
      di combattere solo il re Nettunno.
      Non le rispose Apollo; ma sdegnosasi rivolse alla Dea di strali amante
      la veneranda Giuno, e sì la punsecon acerbo ripiglio: E come ardisci
      starmi a fronte, o proterva? Di possanzamal tu puoi meco gareggiar, quantunque
      d'arco armata. Gli è ver che fra le donneti fe' Giove un lïone, e qual ti piaccia
      ti concesse ferir. Ma per le selvemeglio ti fia dar morte a capri e cervi,
      che pugnar co' più forti. E se provartivuoi pur, ti prova, e al paragone impara
      quanto io sono da più. - Ciò detto, al polsocolla manca le afferra ambe le mani,
      colla dritta dagli omeri le strappagli aurei strali, e ridendo su l'orecchia
      li sbatte alla rival che d'ogni partesi divincola; e sparse al suol ne vanno
      le aligere saette. Alfin di sottole si tolse, e fuggì come colomba
      che da grifagno augel per venturosofato scampata ad appiattarsi vola
      nel cavo d'una rupe. Ella piangendocosì fuggìa, lasciate ivi le frecce.
      Parlò quindi a Latóna il messaggieroargicìda: Latóna, io non vo' teco
      cimentarmi; il pugnar colle consortidel nimbifero Giove è dura impresa.
      Va dunque; e franca fra gli eterni Deid'avermi vinto per valor ti vanta.
      Così dicea Mercurio, e quella intanto


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

   

Iliade
di Homerus (Omero)
pagine 483

   





Nume Dïana Nettun Nettunno Apollo Dea Giuno Giove Latóna Latóna Giove Mercurio