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      Taciti, attenti; ridicea il funestoRitorno degli Achei dall'Ìlie piaggie,
      Che, irata a loro, destinò Minerva.
      a 328 Nelle stanze superne, in petto accolse 400
      Penèlope il divin canto e per l'alteDel palagio regal scale discese;
      Sola non gìa, ché la seguìan due ancelle.
      Giunta presso i chiedenti, in sulla sogliaDella solida porta il piè ritenne 405
      Quella gran donna di beltà; un bel velo,
      Che giù del capo le scendea ondeggiando,
      Le adombrava le gote, e tra le ancelle,
      Conversa al vate, sì dicea piangendo:
      a 337 "Fèmio, altre molte sai gioconde istorie, 410
      Vaghezza de' mortali; inclite gestaDe' Numi e degli eroi, tema de' vati,
      Canta di quelle alcuna, or che beendoStanno in silenzio ad ascoltarti i Proci.
      Ma cessa omai questa canzon lugùbre 415
      Che mi trafigge il cor, sempre ch'io l'oda.
      Però che me, vie più che ogni altra, opprimeDisperato dolor. Quanto desìo
      M'arde di riveder capo sì caro!
      Dolce nella memoria èmmi pur sempre 420
      Quel prode la cui gloria alto si spandeNella Tessàlica Èllade ed in Argo!"
      a 345 "O madre mia! - Telèmaco rispose -,
      A vate sì gentil perché contendi,
      Ch'ei pur ne alletti come il cor gli spira? 425
      Cagion de' nostri guai non son già i vati,
      Ma Giove, che i suoi doni agl'ingegnosiMortali, come a grado gli è, comparte.
      Dunque a carco di Fèmio appor non vuòlsi,
      Se il triste fato degli Argivi or canta. 430
      Quanto recente è più, tanto riesceAgli ascoltanti la canzon più grata.
      Ringagliardisci il cuore; òdila, o Madre,
      Ché al solo Ulisse non frodò il ritornoTroia, ma al par di lui molti perîro.


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Odissea
di Omero (Homerus)
pagine 437

   





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