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      D'obbedire a Laerte e guardar tuttiIntegri i beni suoi. Con saggio avviso: 290
      ß 229 "Tutto che il cuore spìrami, deh! udite,
      Itacesi! - sclamò -. Benigno e miteScettrato Re, no, non più sia: ned alti
      Sensi volga nel cor, ma crudel sempre,
      Con ingiusti e feroci atti imperversi. 295
      Poiché tra i tanti popoli che resseD'Ìtaca il Re, qual padre affettuoso,
      Uom non mi occorre più che il si rammenti.
      Né i Proci incolpo già pe' violentiAtti che ognuno in sua vil alma ordisce, 300
      Ché la testa vi arrischiano, struggendoQuesta magion d'Ulisse a cui disdetto
      Si credono il ritorno. Or, contro gli altriDel popolo m'adiro: Oh! voi sedete
      Tutti muti! Né pur d'una rampogna 305
      Comprimete costor debili e pochi,
      Benché voi siate un popolo infinito!"
      ß 242 "Oh! che di' tu - Leòcrito rispose -,
      Stolto e furente Mèntore, esortandoIl popolo a reprimerci? Ben duro 310
      Fôra a gran moltitudine assaltarci,
      Là nelle feste de' conviti accolti.
      Anzi, reverso qua l'Ìtaco Ulisse,
      Se bramasse scacciar dal suo palagioI fieri Proci banchettanti, certo 315
      Non già la donna sua ne andrebbe allegra,
      Benché tanto il desii, del suo ritorno:
      Cadrìa pur là di men che onesta morte,
      Se contro tanti ei combattesse: a tortoQuindi tu parli. Or via, popoli, ognuno 320
      Divìdasi dagli altri ed alle usateFaccende omai ritorni; i suoi paterni
      Ospiti antichi: Mèntore, Aliterse,
      La costui dipartenza affretteranno.
      Pur, mi cred'io, che lunga pezza assiso 325
      Chieder farassi in Ìtaca novelle,
      Né tal viaggio fornirà giammai."
      ß 257 Detto, repente ruppe l'adunanza.


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Odissea
di Omero (Homerus)
pagine 437

   





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