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      Come alla vista della giovin palmaRestai gran pezza di stupor compreso,
      Perché pianta sì bella e maestosaDal grembo della terra unqua non sorse;
      Così Te, donna, attonito or contemplo. 230
      Meraviglia, stupor, tema, rispetto,
      Forza al mio dubbio cor fanno ad un tempo,
      Sì che abbracciar non oso il tuo ginocchio.
      Ma tu in me scorgi un misero cui fiedeL'alma immenso dolor. Dal tenebroso 235
      Mar dopo dieci e dieci dì, pur ieriSfuggìa; me i flutti prima e me i furenti
      Turbini dall'Ogìgia isola lungeSospinsero. Qua alfin gittommi un Dio
      Forse a patir novelli guai, ché stanchi 240
      Non credo io, no, dal perseguirmi i Numi.
      Deh! pietà 'l cor ti tocchi, alma regina,
      Pietà di me che dopo tanti affanniTe prima imploro; non è in me degli altri
      Della città o de' campi abitatori 245
      Nulla notizia. Piàcciati additarmiIl cammin che a città guida e un vil lino
      Dammi che al corpo lo mi getti intorno,
      Se qui venendo, alcun per le tue vestiRecasti invoglio. Tutto che desii 250
      Ti concedan gli Dèi: sposo e famiglia,
      In che faccian regnar di cari affettiDolce concordia; perocché non havvi
      Prosperità che agguagli il viver lietoDi marito e di donna, ambo reggenti 255
      D'unanime voler la propria casa;
      Gli invidi si corrucciano, van lietiGli ottimi; ma vie più ch'altri, beati
      D'amor concorde, esultano i due sposi."
      ? 186 "O forestier, ned uom di senno uscito, 260
      Ned ignavo mi sembri - a lui risposeNausìcaa bella dalle nivee braccia -,
      L'Olìmpio stesso a suo voler dispensaLa fortuna a' mortali, o buoni o rei.
      Tutto che t'avviò, forza ti è quindi 265


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Odissea
di Omero (Homerus)
pagine 437

   





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