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      Dapi e licor gustavan, di che sempreL'alma copia li bea. Qui di donzelli
      Stavan su ben torniti piedestalliI simulacri d'òr, che accese in mano 130
      Faci tenendo, le notturne menseDe' prenci illuminavano. Cinquanta
      Del Re nella magion servono ancelle,
      L'une sotto il girar di presta molaFrangeano 'l biondo gran, l'altre seggendo, 135
      Tele ordivan sottili o torcean fusi;
      Di tante mani il rapido agitarsiParea sembiante al mobile fogliame,
      Scosso dall'aura d'un eccelso pioppo.
      I lucidi splendean lini, siccome 140
      Trascorrèssevi su liquida oliva.
      Quanto a regger sul mar legno veloce,
      Tutte altre genti avanzano i Feaci,
      Tanto vagliono a ordir splendide filaLe Feacesi, cui nelle gentili 145
      Arti, ne' vaghi lavorii ed in tutteL'opre d'ingegno ammaestrò Minerva.
      Ma di là dal cortil, presso alle porte,
      Grande un orto stendévasi, che ararloPotrìan due tori in quattro dì, da tutte 150
      Parti murato. Verdeggianti ed alteLà fioriscon le piante: il melagrano,
      Il pero, il melo di vermiglie poma,
      Il dolce fico e di lucenti baccheCarco l'ulivo. Non di questi mai 155
      A fallir viene od a mancare il frutto;
      Ma verno e state èvvi perenne; blandoSempre vi spira Zèffiro, al cui soffio
      Mentre vi spunta l'un, l'altro matura.
      Là sulla pera giovinetta invecchia 160
      La pera, il pomo appresso il pomo, l'uvaAccanto l'uva e 'l fico al fico. Quivi
      Mettea radici una profonda vigna:
      Parte in vasta pianura è già riarsaA' rai del Sol, dispicca altri da' tralci 165
      Ricchi racemi, altri del piè li calca;
      Parte che innanzi sta, d'un'uva acerbaQua getta i fiori e là tutta s'imbruna.


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Odissea
di Omero (Homerus)
pagine 437

   





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